La Corte Costituzionale, ha recentemente affermato (ordinanza n. 207/2018) un importante e innovativo principio in materia di eutanasia (con tale termine si indica la pratica consistente nel procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica).

La storia dalla quale prende le mosse la statuizione della Consulta, è quella del sig. Fabio Antoniani (Dj Fabo). Il sig. Fabio, in particolare, era divenuto tetraplegico, non più autonomo nella respirazione e nell’alimentazione. Le sue condizioni, gravissime, erano sostanzialmente irreversibili anche se conservava ancora, intatte, le facoltà intellettive. Cosciente della propria situazione, manifestava quindi la propria intenzione di farla finita mediante la pratica del suicidio assistito. A febbraio 2017, lo stesso sig. Fabio fu perciò accompagnato in Svizzera, dove morì. Il suo accompagnatore ora è imputato del reato di “Istigazione o aiuto al suicidio” di cui all’art. 580 del codice penale, giacché avrebbe rafforzato il proposito di suicidio e ne ha poi agevolato l’esecuzione materiale.

La Corte d’Assise di Milano che si occupava del caso, ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 C.P., per ritenuto contrasto con gli artt. 2, 13 e 117 della Costituzione, nonché in relazione agli artt. 2 e 8 della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

La Corte Costituzionale investita della questione, da un lato, riconosce la piena centralità del rispetto della dignità della persona che, a fronte di una condizione di salute fonte di sofferenze intollerabili, ma capace comunque di prendere decisioni libere e consapevoli, non tollera un mantenimento in vita artificiale.

La Consulta quindi afferma che in simili casi, e qui la Corte dialoga col Parlamento, la decisione di lasciarsi morire potrebbe essere già presa dal malato, sulla base della legge 219/2017 (legge sul c.d. “Testamento biologico”), con richiesta di interruzione dei trattamenti di sostegno vitale in atto, compresi idratazione e nutrizione artificiale ed eventuale sottoposizione a sedazione profonda continua. Il medico deve rispettare la scelta del paziente ed è esente da responsabilità civile o penale.

La Corte mette in chiaro che, “se il cardinale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari”, non c’è ragione per cui “il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento”.

Ciò che si evince dalla pronuncia in questione, è un’apertura da parte della Consulta. La Corte, in sostanza, ritaglia una sfera di autonomia nelle decisioni terapeutiche. Sembra anche avvicinarsi a quel principio personalistico che pone l’uomo e non lo Stato al centro della vita sociale (articolo 2 della Costituzione). In situazioni come quella di Fabio Antoniani, prosegue la Corte, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze.

La Corte Costituzionale è altresì perfettamente consapevole che laddove si spingano ad una pronuncia di incostituzionalità della norma di cui all’art. 580 C.P., questa potrebbe aprire le porte al suicidio assistito “fai da te”, senza controllo sull’effettiva sussistenza della capacità di autodeterminarsi, del carattere libero e informato della scelta espressa e dell’irreversibilità della patologia.