Per la Cassazione (sentenza n. 320 dd. 14.10.21), storpiare il cognome di una persona, così da dileggiarla pubblicamente, può astrattamente configurare il reato di cui all’art. 595 C.P. (“Diffamazione”).

Nel caso di specie un uomo che aveva subito uno sfratto, in occasione di una manifestazione pubblica, aveva indossato un camice su cui aveva appuntato la copia di un distintivo che riportava il cognome, storpiato, del Sindaco del paese. Per tale motivo, il soggetto veniva riconosciuto colpevole del reato di diffamazione e condannato a € 1.500,00 di multa oltre al risarcimento del danno da pagarsi in favore del sindaco.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi, ha ricordato che “deve essere ben chiaro il confine tra la legittima espressione satirica di ludibrio o ironico scherno e, di contro, il disprezzo personale gratuito”. Il limite fondamentale rimane sempre quello del rispetto dei valori fondamentali della persona: a tal proposito, il limite in questione deve considerarsi superato ad esempio quando la persona pubblica – qual è il caso di un sindaco – oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposto al disprezzo personale.

L’uomo, per la Suprema Corte, aveva superato i limiti innanzitutto quanto alla forma espositiva, poiché definire la persona “brutto cesso”, seppur con una finalità latamente satirica e benché ispirandosi ironicamente al cognome del sindaco, si risolveva, di fatto, in un’offesa tanto gratuita quanto spregiativa che nulla aveva a che vedere con l’oggetto della legittima critica mossa all’operato del funzionario pubblico.