La Corte di Cassazione (sentenza n. 12013 dd. 01.04.22) ha confermato la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello con la quale una donna era stata condannata alla pena di € 400,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 660 C.P. (“Molestia o disturbo alle persone”), perché, tramite la messagistica WhatsApp, aveva inviato alla moglie tradita delle immagini che testimoniavano, in maniera inequivocabile, i “momenti intimi” avuti col marito fedifrago di quest’ultima.

In particolare, la Suprema Corte ha escluso che potesse trovare applicazione nel caso concreto la causa di non punibilità, ex art. 131 bis C.P., considerato che la donna aveva inviato plurimi messaggi, rendendo di fatto “abituale” il disturbo arrecato alla moglie tradita.